Colori di luce,
profumo di neve,
sapore di vita
le voci sommesse del corso:
la piazza è una casa,
le bancarelle un salotto,
un sorriso di nuovo,
la fretta lieta e leggera
dell’andar per negozi
più fragranza del dono
che gusto d’avere:
un pensiero ai bambini
il pandoro alla tata
l’agenda al collega
un biglietto all’amico.
Poi il dolce affannarsi in soggiorno:
una spirale di luci l’abete,
due assi il presepio di rito,
una cometa appesa nel vuoto,
un gioco per le ore di attesa,
il disordine dell’abbondanza in cucina,
una telefonata ai parenti,
un coro sul primo canale
la festa del circo il secondo,
il terzo un po’ di cultura.
Poi scende il silenzio su questa betlemme
d’una provincia qualsiasi del mondo
che apre la porta a chi ricambia il regalo.
Ma lui dov’è?
Se non nasce a questa capanna di casa
la gioia è senza radici
la cena senza invitato.
La sua tenda è tra noi
ma ancora non lo conosciamo.
Qualcuno si avvia nella notte.
a vedere se nasce ancora per noi.
Stanotte. Forse. Si dice.
Forse anche qui:
potrebbe essere oggi duemila anni fa.
Qualcuno lo cerca
oltre la sera il freddo le cose:
quando apparirà la prima luce
sarà l’eterno.
…ho conosciuto Gian Mario una sola volta, grazie all’amico e storico Alfredo Maulo. Era sul viale del tramonto, ma sapeva, e ora so anch’io, che il sole prossimo sarebbe stato sempre in alto, senza albe, aurore, tramonti, senza più sere che scendono, a volte “invocate”, senza più notti e pastori erranti, senza più lune a cui dover domandare il perché della vita.
Ho conosciuto le sue prime poesie, recensite da una grande critico letterario (Squarotti), anche se con uno stile troppo letterario e poco letterale, e la burocrazia di certa critica a volte non può reggere il confronto di certa poesia.
Qui, in questa bellissima “Città Natale”, rivedo la leggerezza (pesante come direbbe Calvino) del mio amato Saba, dell’uomo di cultura che non la faceva pesare, del poeta che crede ancora, nonostante tutto, che la bellezza dei versi ci salverà (almeno dal virus peggiore, quello delle brutture e dell’ignoranza), dell’uomo “comune” (amante e aperto alla comunità) pieno di buon senso, laddove regna “il senso comune”. E capisco di più, ancora una volta, perché sia stato il miglior sindaco di Macerata (almeno dagli anni ’80 ad oggi), come lo possono essere, spesso, solo i poeti o certi artisti (poeti e scrittori anch’essi), vedi Osvaldo Licini, sindaco di Monte Vidon Corrado dal dopoguerra per due mandati (che uomini!), di cui Gian Mario non poteva non ammirarne le “Amalassunte”.
La semplicità di certi versi, che celano anni di studio sine ira, avvicina l’uomo semplice (non facile), che ancora prova stupore, e la meraviglia del bambino, di fronte alle immagini del creato, che siano una cima innevata, un mare in burrasca, una dolce collina “dipinta” ettaro per ettaro, come quelle del maceratese, o certe bancarelle, più belle in certi periodi dell’anno, o un viale pieno di cose e persone che si muovono sul teatro della vita.
In questa poesia capisco anche che il Natale non è il 25 dicembre (anche se a volte combacia), ma ogni volta che rinasciamo a nuova vita, lui rinasce.
Un bacio e un saluto Gian Mario, dovunque tu sia…di sicuro in piena luce e visione, senza tenebre, ché sei stato di certo “invitato”.